Sie haben das Recht zu schweigen. Henryk M. Broders Sparring-Arena

Henryk M. Broder

08.09.2003   13:02   +Feedback

La via tedesca

Enrico Brachiale

Il 2003 è l’anno degli anniversari »tondi«: settant’anni fa, nel 1933, l’avvento al potere dei nazisti in Germania; sessant’anni fa, nel 1943, la capitolazione dell’armata tedesca a Stalingrado, che segnò l’inizio della fine del Terzo Reich;

Enrico Brachiale

Enrico Brachiale cinquant’anni fa, nel 1953, la rivolta popolare nella Ddr, la Repubblica democratica tedesca, soffocata nel sangue dall’esercito sovietico. I media tedeschi hanno ampiamente celebrato tutte queste storiche ricorrenze, con documentari televisivi, serie a puntate sui giornali, interviste a testimoni che hanno vissuto in prima persona come i nazisti abolirono la democrazia, come la Wehrmacht venne stritolata dalla fame e dal gelo e come i carrarmati dell’Armata Rossa entrarono a Berlino Est. Praticamente nessun aspetto della storia è stato trascurato, dal ruolo delle donne nel Terzo Reich al fallimento degli intellettuali tedeschi nel confronto con la dittatura sovietica.

Ora, la Germania non ha soltanto il movimento pacifista piú forte del mondo, ma anche l’opinione pubblica piú critica in assoluto quando si tratta di analizzare gli errori e le omissioni del passato perché la storia »non si ripeta«. Senonché, se si tratta del passato prossimo o remoto i tedeschi si comportano come scolari modello che hanno perfettamente imparato la lezione, mentre con il presente hanno qualche problema. È di qualche settimana fa, per esempio, la pubblicazione del numero delle vittime al confine tra le due Germanie. Persone che non hanno »perso la vita« come nel caso di un terremoto o di un’alluvione, ma persone che sono state deliberatamente uccise sul Muro o nella »striscia della morte«, persone che sono annegate nell’Elba o nel Mar Baltico nel tentativo di fuggire a nuoto verso »l’altra parte«. In totale 1008 persone: persone che semplicemente non volevano vivere nella Rdt, il primo »Stato tedesco degli operai e dei contadini«, e che per questo motivo dovettero morire. L’ultima vittima lungo quel confine fu un diciottenne, morto dissanguato vicino al Muro.

Certo, 1008 morti in quarant’anni non sono molti, per esempio se raffrontati al numero decisamente superiore delle vittime di incidenti stradali. Nondimeno è una cifra mostruosa se si considera che ogni »fuggiasco della Repubblica« in fondo non voleva far altro che trasferirsi dall’Est all’Ovest - cosa che però le »leggi« della Rdt vietavano. Ufficialmente il Muro e l’intero confine erano un »vallo antifascista« che doveva impedire l’infiltrazione di agenti occidentali; di fatto erano le mura di una prigione, destinate a far desistere gli abitanti della Rdt dai tentativi di evasione.

Se oggi, a quasi quattordici anni dal crollo, qualcuno volesse sapere che tipo di compagine statuale era la Rdt, dovrebbe bastare una risposta: era uno Stato che puniva con la morte l’allontanamento illecito. Né piú né meno. Che nella Rdt non ci fosse un buon caffè, che per comprare uno squallido appartamento o un’utilitaria di pessima qualità bisognasse aspettare dai dieci ai vent’anni, che tra i vicini di casa regnasse la delazione e che i figli denunciassero i genitori alla polizia: tutto ciò era certo meschino e ributtante, ma rispetto al »divieto di trasferirsi« è di scarso rilievo.

Oggi però le cose non stanno piú così. Piú passa il tempo da che la Rdt ha cessato di esistere, tanto piú bella e popolare essa diventa. In tedesco questo fenomeno si sintetizza nel termine di »Ostalgie«, la »nostalgia dell’Est«, un sentire che si propaga a mo’ di epidemia. Nelle boutiques di Berlino si possono comprare T-shirt con la scritta »DDR«, ogni libro di scrittori o scrittrici emergenti che tratti della »quotidianità« nella Ddr diventa automaticamente un bestseller. Un film mediocre intitolato Good bye, Lenin, nel quale una famiglia inscena nel proprio appartamento la vita della Ddr perché la madre malata non sopporterebbe la nuova realtà dopo la »svolta«, viene esaltato dalla critica e dal pubblico viene eletto a film tedesco dell’anno. Il »Palazzo della Repubblica«, ex sede della Volkskammer, il parlamento della Rdt a Berlino Est, non viene demolito, ma ristrutturato con un investimento di milioni di euro e aperto al pubblico. Migliaia di visitatori si recano in pellegrinaggio in quell’edificio colossale nel centro di Berlino come un tempo a migliaia andavano in pellegrinaggio all’Obersalzberg, la residenza del Führer. E mentre davanti alla nuova »Nationalgalerie« la gente fa la fila per vedere la rassegna Arte nella Ddr, un target-group piú piccolo ammira la mostra Vacanze nella Ddr, che tra molte altre cose si occupa di nudismo e nudisti nella ex Rdt. Anche alla televisione si ha una riviviscenza della Ddr. La seconda rete ZDF propone un »Ostalgie-Show«, RTL un »Ddr-Show« e SAT1 l’»Ultimative Ost-Show«, »il programma non plus ultra sulla Ddr«. Per apparire autentiche e veritiere, queste trasmissioni vengono presentate e moderate da ex conduttori della Rdt e da star del mondo dello sport, come la pattinatrice Kati Witt e il pugile Axel Schulz, che appartenevano ad una categoria privilegiata e non dovettero soffrire.

Per i cittadini dell’ex Rdt l’ondata di »nostalgia dell’Est« rappresenta un riconoscimento, ancorché tardivo, del loro stile di vita, che all’Ovest era considerato sciatto, ottuso e soffocante; per i tedeschi dell’Ovest, invece, rappresenta l’occasione di vivere un »gabinetto delle curiosità«, dove il pollo arrosto aveva un nome dal suono suggestivo per orecchie tedesche e dove in un ristorante vuoto bisognava aspettare pazientemente il proprio turno. Ma la Rdt era molto piú che un palcoscenico sul quale venivano provate brutte pièces. Era una dittatura nella quale si poteva vivere bene solo assoggettandosi completamente allo Stato. Alcuni politici, come il deputato della Spd Thierse e il parlamentare della Cdu Eppelmann, entrambi originari della Ddr, mettono in guardia dal »minimizzare e banalizzare« quel sistema.

Invano. Poiché la cultura riprende soltanto quel che nella politica è ormai prassi quotidiana. L’essere stati al servizio della »Stasi«, la polizia segreta della Ddr, oggi non è piú motivo di vergogna. Quando poco tempo fa è diventato di dominio pubblico che il segretario del partito postcomunista Pds era un informatore della »Stasi«, nessuno si è indignato. Solo qualche anno fa sarebbe stata la sua fine, politicamente e moralmente. Adesso è bastato che dichiarasse di »non aver nuociuto a nessuno«. Ma non passerà molto tempo e anche lui verrà invitato ad uno dei tanti show sulla »nostalgia dell’Est«, per raccontare com’era bella la vita nella Repubblica democratica tedesca.

8.9.2003

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